LIGOSULLO: VETRINA SUL MONDO E LA STORIA

Ligosullo è l'ultimo paese della val Pontaiba, il più piccolo dei comuni del Friuli. Quattro case che si affacciano sulla valle verde di prati, dominata a Sud dalla massa imponente del Sernio. Una valle come tante dell'Alta Carnia, come tanti luoghi della catena alpina, se non avesse quella individualità, quella personalità spiccata che ad essa hanno conferito i suoi abitanti: «chei di Liussul» come li chiamano da quelle parti. Gente che da secoli emigra, che a Ligosullo nasceva (prima che arrivasse l'abitudine di andare a partorire i figli in ospedale) viveva la fanciullezza, ritornava di tanto in tanto durante la maturità e poi, qualche volta, veniva a morire.

Gente che ha visto il mondo. In Austria e in Germania andava a far mattoni. In Francia costruiva case. Nel resto del mondo tracciava strade, posava ferrovie, gettava ponti. In Argentina conquistava quella terra da coltivare che la piccola val Pontaiba non poteva offrire, se non in piccoli campetti inerpicati che le donne falciavano o coltivavano a patate e fagioli. Quelle dal fazzoletto nero e la gerla portata sulle spalle come un trofeo mentre era una croce.

Gente di quel paesetto di duecento anime che, a differenza di tanti altri poveri passati senza lasciare traccia, ha contribuito a scrivere la storia.
E non si direbbe, perché la storia, si sa, ha orrore di chi nasce povero in zone isolate e mette nelle sue vetrine soltanto chi ha avuto la capacità di determinare gli avvenimenti.
Ligosullo, invece, il piccolo paese senza nemmeno un negozio che si affacci sulla sua strada, ha le sue «vetrine» nella storia.

«Le vetrine di Ligosullo» è il titolo che Antonino Morocutti ha dato alla sua amorosa ricerca sulla gente del suo paese, riservando ai lettori non poche sorprese. Sorprese liete quando si è trattato di conoscere che Cristoforo e Giovanni Moro, di Ligosullo, fondarono in Austria la moderna industria tessile, come il Linussio e lo Zanon in Friuli, che Jakob-Nikolaus von Craigher, poeta e letterato, scriveva i libretti per Schubert, che Josepha Craigher-Porges è divenuta una delle i maggiori poetesse della Carinzia, che Otto Kraigher Mlczoch, originario sempre di Ligosullo fu tra i maggiori pittori austriaci del suo tempo, che Antonino Morocutti (omonimo dell'autore del libro) fu pittore e insegnante per 40 anni ai Carmini di Venezia e lavorò anche all'arcivescovado di Udine, che Corrado von Craigher nella sua vita di pittore, eseguì più di duemila ritratti, su commissione di papi, regnanti e principesse. Opere che sono finite nei musei e riprodotte sui francobolli. Aloiz Craigher figlio di emigranti in Slovenia divenne vice presidente della repubblica iugoslava. Era il numero due di Tito. Veniva da Ligosullo.

I COGNOMI DI LIGOSULLO

I cognomi sono ricorrenti: Moro, Morocutti e Craighero perché a Ligosullo si chiamavano tutti così. Cognomi divenuti famosi in Italia, in Austria, in Jugoslavia e in tante altre parti del mondo, pronunciati e riscritti spesso all'uso locale perché portati da gente abituata ad emigrare, ad inserirsi in tutti gli ambienti, come tocca a chi non può sperare nulla dalla sua terra.
Eppure, generazioni di Craighero, di Moro, di Morocutti sono tornate a Ligosullo, non fosse che per un pellegrinaggio spirituale, magari il giorno della «Madone de salut» il secondo giorno di luglio, la festa scelta dagli emigranti per il loro provvisorio ritorno.

Anche Antonino Morocutti, dopo aver scritto «Le vetrine di Ligosullo», cioè le storie degli uomini che Ligosullo può mettere in vetrina, si è soffermato su quel mistico ritornare degli emigranti della Carnia al loro paese.

Non ha saputo dare una risposta razionale, ma le sue pagine, soprattutto ove parlano dei ricordi della fanciullezza, costituiscono una spiegazione poetica di quell'amore profondo. E si tratta di un affetto per il quale un uomo vissuto soltanto tre anni nel suo paesino e poi ritornatovi per poche settimane di tanto in tanto, appena appena per visitare e godere le piccole proprietà della famiglia, poche braccia di terra, tra Saldai, Lius e Paluz, sente il bisogno di ritornare. Un ritorno - ha scritto - di ringraziamenti "a Liussul e a so int, alla Carnia seria, serena, rispettosa delle regole della vita".
Grazie di che, uno si chiede.

Antonino Morocutti ha realizzato ben lontano la sua vita. A Milano ha fatto l'industriale nel dopoguerra e poi negli anni sessanta ha iniziato un'attività di mediatore internazionale che l'ha portalo a costituire una delle maggiori società italiane nel campo del commercio europeo.
Catene di negozi e supermercati di tutta la Comunità europea passano attraverso i suoi uffici per acquistare prodotti italiani di largo consumo, dall'abbigliamento alle pelletterie ai mobili, all'oggettistica.
Quand'era bambino Moroculti ha vissuto molti anni in Austria ove il padre faceva l'arrotino.
Cosa mai deve a Ligosullo?
Forse solo il ricordo, il sentirsi parte di quelle stirpi di Craighero, di Moro e di Morocutti che sono andate per il mondo a farsi onore, a iscriversi di forza nell'albo della storia, a dispetto della piccolezza e della miseria di quel paesino che non ha nemmeno una vetrina che scintilli dei simboli del benessere e che è costretto a mettere in vetrina la sua gente, quella che si è fatta strada nel mondo.

LA GENTE DI CARNIA

Gente di Carnia che va ringraziata, perché insegna a portare con fierezza la gerla della vita: un peso che non riesce a schiacciare né a piegare quelle donne determinate fino all'eroismo dimostrato, come portatrici nella grande guerra.

Gente che sa sempre ripartire da zero, dopo una guerra come dopo un terremoto. Gente che misura le parole e persino le preghiere, che ama fare piagnistei nemmeno davanti a Dio; che prega così: «Signôr a sin ca, savêis las necessitâts c'ha si à, in chest mont e in chel altri. Signôr, no covente dì altri. Amen!». Fieri, anche davanti al Padreterno, di essere carnici.

NOTE Tratto dalla rivista Julia Augusta "Ligosullo: vetrina sul mondo e la storia - in un volume di Antonio Morocutti l'epopea di un paese carnico" di Paolo Villotta